Un Calamaio D’inchiostro

Giuseppe era un bambino instabile e agitato, e forse per questo gli volevo molto bene. Alla base della sua irrequietezza c’era un’infanzia difficile dovuta, forse, a mancanza di affetti. Una mattina, per assicurarmi che tutti i ragazzi entrassero a scuola, mi attardai nel cortile. Visto il Direttore, mi avvicinai a lui che era fermo proprio sotto una delle finestre della mia classe. In quel momento Giuseppe, che era già in classe, vide una mosca nel calamaio del suo banco e pensò bene di disfarsene gettando l’inchiostro dalla finestra. L’inchiostro cadde proprio su di me e sul Direttore, imbrattandoci giacca e camicia. Il Direttore, furibondo per l’accaduto, voleva scoprire il colpevole e io che avevo capito a chi era venuta quella insensata idea tremavo al pensiero. Entrammo in classe. Il Direttore infuriato interrogava e minacciava. Gli alunni mi guardavano spaventati, ma io non battevo ciglio: non volevo che intendessero un mio segno come suggerimento di un’azione di omertà, speravo solo che nessuno parlasse e cosi fu. I bambini rimasero in silenzio e il Direttore tuonò che avrebbe sospeso tutta la classe. Le famiglie, informate dell’accaduto, volevano risarcire i danni, ma passato qualche giorno, il Direttore non volle parlarne più, anzi di tanto in tanto, ricordava l’accaduto con bonarietà e un pizzico di ironia. Finita la V elementare, Giuseppe non continuò gli studi perché doveva aiutare la madre nel lavoro dei campi. Quando lo incontravo mi sorrideva da lontano e, affettuoso, come sempre, si fermava per chiedermi come stavo. Poi a diciotto anni, emigrò in Svizzera con altri giovani della sua età e non lo vidi più per diversi anni. Un’estate d’improvviso venne a trovarmi ed io lo riconobbi subito, anche se era molto cambiato. Era ingrassato, stempiato e vestiva con molta compostezza, ma il sorriso era lo stesso: aperto, bonario, affettuoso. Gli strinzi la mano e lo feci accomodare nel mio studio. Mi parlò della sua vita all’estero, del negozio di abiti confezionati che aveva a Zurigo, della moglie Svizzera che non voleva venire in Italia… Ma ogni tanto si fermava e mi fissava, sembrava volesse dirmi qualcosa, ma non ne avesse il coraggio. Poi d’un tratto, un po’ vergognoso e alquanto impacciato disse: – Si ricorda… quel giorno a scuola… il calamaio d’inchiostro…? Io accennai un sorriso bonario e feci un segno con la mano come per dire: cose da ragazzi! ma egli si alzò deciso ed uscì. Tornò dopo un attimo più impacciato di prima, con una giacca nuova di zecca e: -Se non si offende…?! disse timidamente. Rimasi confuso e non sapevo cosa dire. Lo guardavo con grande commozione: aveva la stessa espressione con cui bambino, entrando in classe, mi porgeva un fico secco o una noce.

Tratto da: “Stralci degli anni miei” di: Angiolino Cotardo

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