Il Fattaccio

Il nostro paese, come tutti quelli del basso Salento, era un paese tranquillo: la gente era buona e generosa ed era raro che accadesse qualcosa di violento, e se accadeva, come successe, il fatto veniva ripetuto quasi a perpetuare qualcosa di unico.

***

Molti anni addietro, era la festa grande di Sant’Antonio, dopo la mezzanotte, quando quasi tutta la gente era rincasata, un giovane fu accoltellato. Caduto in una pozza di sangue, fu soccorso prontamente da un amico, per cui riuscì a sopravvivere. Interrogato dai carabinieri disse che non aveva visto in viso chi lo aveva colpito, anche l’amico confermò la sua dichiarazione.
Il ferito guarì, ma rimase menomato. L’amico gli fu sempre vicino e fu un’amicizia che durò tutta la vita. Su quanto era successo non si seppe mai troppo, ma si potè intuire la verità conoscendo fatti e persone.

* * *

I due amici erano stati sempre uniti sin da piccoli e da grandi lavoravano assieme: “facevano i mercati”. Avevano un traino in comune che caricavano di roba e ogni mattina partivano all’alba per raggiungere paesi a volta anche lontani. In paese li avevano soprannominati “Spitta” e “Gambero”. Le ingiurie hanno sempre espresso in modo efficace le caratteristiche delle persone e in questo caso calzavano a pennello. “Spitta” significava scintilla ed era stato attribuito al più vivace e intraprendente dei due; mentre “Gambero”, nome di un animaletto timido, era stato imposto all’altro che aveva un carattere riservato e introverso. Spitta e Gambero erano sempre assieme. Spitta amava le avventure e Gambero lo seguiva, ma rimaneva sempre in ombra specie se si trattava di ragazze.
Un giomo si trovavano al largo delle “Pozzelle”, una spianata in discesa ai margini del paese disseminata da quasi cento pozzi, alcuni dei quali pieni fino all’orlo. Era l’ora in cui il crepuscolo si stende sull’affaticata natura e gruppi di donne, a passo lento come in processione, vociando e chiaccherando, scendevano a rifornirsi d’acqua, aiutandosi a vicenda: spesso erano in due a reggere, una da un lato e l’altra dall’altro, i manici della “menza” che, piena d’acqua, sarebbe divenuta pesante per una sola persona.
Dalla spianata giungeva il caratteristico stridio delle corde che strisciavano negli incavi scavati nel tempo sui bordi dei “puteali” sotto il peso de secchi pieni.
C’era un pozzo che chiamavano “ffrea tis alea” (pozzo dell’ulivo) perché sorgeva accostato ad un ulivo enorme, le cui radici affondavano nell’umido. Sotto i suoi rami c’era frescura e spesso le donne si fermavano per riposare sedendo sulle sue attorcigliate radici e, chi aveva riempito d’acqua il “vombile” di terracotta, offriva da bere alle amiche con spontanea generosità.
Quel giono nel gruppo c’era Drosiana, la figlia del falegname. Era una ragazza dal corpo sottile e dai lineamenti delicati e gentili. I due giovani la notarono e il diavolo volle che tutti e due se ne innamorassero. Ma l’uno non lo disse all’altro. Nei giorni che seguirono cominicarono a cercarla, a seguirla, e ne erano entusiasti sempre più, tutti e due. Spitta però dimostrava i suoi sentimenti con più calore mentre Gambero era divenuto più silenzioso e più riservato. Una volta a Gambero sembrò che l’amico stesse esagerando e, inaspettatamente, sbottò in malo modo:

– “Quiddha lassala stare! -.

Al che, di rimando e con la stessa aggressività Spitta, che aveva compreso i sentimenti dell’amico, rispose:
– “Lassala stare tie, ieu nu lassu nienti”! –
Nacque un acceso e fitto battibecco e stavano quasi venendo alle mani, quando Spitta, con un atto di forte volontà, in nome della grande amicizia, improvvisamente si staccò dall’amico e si allontanò brontolando. Non ne parlarono più, ma la gelosia cresceva nei loro cuori. Ognuno dei due, indipendentemente, cercava di vedere Drosiana, ma non se lo raccontavano più.
Drosiana si era accorta che i due giovani la seguivano, ma non lasciava trapelare la sua preferenza. Il 23 agosto al paese c’era la festa grande di Sant’Antonio. La chiesa e la strada principale, sino alla piazza, erano illuminate ad acetilene. Dopo la messa la gente del luogo e dei paesi vicini si era riversata nella piccola piazza attorniata da bancarelle con le solite cose: nocelline, ceci, fichi secchi, “scapece”, “cupeta” e “dattuli”; e poi ancora cuori composti da mandorle e confetti e al centro una cartolina raffigurante due innamorati; e “zacareddhe” di tanti colori e ventagli con l’immagine del santo benedette in chiesa durante la messa. A mezzanotte tutti si trasferirono nel Largo “Lo Celso” per vedere i fuochi.
C’erano anche Gambero e Spitta, c’era pure Drosiana bella e fresca come una rosa. La gente si ammassava e attendeva. All’improvviso fu sparato un cupo forte colpo di avvertimento e poi cominciarono a salire in aria “ruteddhe”, petardi, “vidute” rosse, gialle, bianche che, ricadendo sotto forma di pioggia di stelle, andavano a spegnersi nei pozzi. Tutt’attorno era sfavillò: una piccola felicità. La gente guardava in alto a bocca aperta quasi ad assaporare quella meraviglia, perchè, in quei tempi, bisognava aspettare la festa per vedere tante luci e varietà di colori.
Drosiana aveva un pò di freddo e si stringeva lo scialletto sul petto. Con espressione incantata da bambina, guardava attorno contenta, poi, ad un tratto, vide i due amici e il suo sguardo diventò dolce e si posò su Gambero. Spitta era un pò indietro e osservava la scena; capi che la ragazza aveva scelto.
Le ultime assordanti “botte” avvertirono che i fuochi e la festa erano fniti. La gente cominciò ad allontanarsi lentamente, quasi a voler allungare ancora un pò il piacere di quella rara serata. Anche Drosiana andò a casa, ma Gambero e Spitta rimasero ancora. Gambero era appoggiato ad un muretto, mentre Spitta gli girava nervosamente attorno:

– “Vanne! Cce boi?” – disse Gambero.
– “Quiddha nu’ bè pe’ tie!” – si scatenò violento Spitta.
– “Te criti?!” – rispose Gambero.
– “Cce boi cu dici”? –

e, detto questo, estrasse dalla tasca il coltello, apri la lama e ‘minacciò l’amico.
Gambero con molta calma continuò: – “Nun me mpauri”-!
Al che un colpo di lama lo colpì con violenza e si accasciò pesantemente al suolo. Spitta terrorizzato, perchè ormai cosciente di quanto aveva fatto, corse a chiamare aiuto. Gambero si salvò, ma rimase menomato. Spitta lo assistette fraternamente fnchè non guarì e, poi, l’amicizia conti nuò profonda per tutta la vita.
Tra gli anziani del paese c’è chi li ricorda ormai vecchi, nella bettola “Lo Celso”, scambiarsi una bevuta o passare il tempo giocando a carte.

***

Drosiana invece, amareggiata per essere stata la causa sia pure involontaria della terribile disgrazia, preferì allontanarsi per sempre da tutto e da tutti e si chiuse in convento.

Tratto da: “Il tempo non cancella” di: Angiolino Cotardo

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