Era una giornata particolare di maggio. La pioggia cadeva a rovesci e le strade del paese si erano trasformate in torrenti. L’acqua che il buon Dio ci mandava, sembrava non volesse finire più. Con le mani incrociate dietro la schiena, attratto dal diluvio e quasi senza pensieri, guardavo dalla porta a vetri dell’aula. Il largo Ponte era diventato un lago e la gente camminava costeggiando le case, servendosi dei gradini nel tentativo di non affondare troppo nell’acqua. Gli ombrelli sembravano neri crostacei ondeggianti. Era uno spettacolo eccezionale, mi scossi e invitai i miei alunni di terza ad avvicinarsi alla porta per osservare. Pensavo di ricavarne una lezione dal vivo sulla pioggia e quindi di servirmene per un compito scritto. Ma, avevo fatto i conti senza l’oste! I bambini si catapultarono alla porta e ne seguì una buona dose di gomitate per essere i primi ai vetri. Poi per un momento spiovve, qualcuno aprì la porta e in men che non si dica, tutti in blocco, come se un folletto evanescente avesse dato il segnale, uscirono dalla scuola e raggiunsero il “laghetto” con grida di gioia. Non curanti delle scarpe bagnate, dei vestiti fradici, di un eventuale scivolone e, peggio di una possibile polmonite, sguazzavano e sguazzavano felici bagnandosi a vicenda. Era un piacere vederli e la gente si fermava divertita ma io ero disperato perché sentivo sulle mie spalle tutta la responsabilità delle loro azioni. Chiamavo, gridavo, supplicavo, ma niente, ormai si erano scatenati. Ad un tratto, rispondendo ad un altro impercettibile segnale si diressero verso le “Pozzelle” – Dove vanno? – pensai e mi misi a correre anch’io per raggiungerli. In quel tempo alle “Pozzelle” non c’era ancora la pineta, era una spianata di scogli e terreno melmoso e si scivolava ad ogni passo. Io avevo l’affanno, ma non ricordo se per la corsa o per l’esasperazione di non avere la capacità di fermarli. Finalmente dopo vari tentativi riuscii a riunirli. Fieri per la bravata, affannavano anche loro, ma avevano in volto un’espressione raggiante, simile alla felicità – Peccato distruggerla con un rimprovero – pensai. Restammo tutti in silenzio, ma per un attimo. Ad un tratto si senti un clic! Qualcuno aveva lanciato un sasso in una grande pozzanghera e cerchi concentrici si allargavano dolcemente sulla superficie dell’acqua. Il gioco piacque e ognuno volle provare. I sassi cominciarono a volare a decine e migliaia di cerchi concentrici si incrociavano e si scontravano allegramente in sintonia dei lanciatori. Che fare? Non restava altro che fermarsi e godere quell’attimo unico, irripetibile, come irripetibili sono tutte le azioni dei bambini in ogni momento della loro esistenza.
Tratto da: “Stralci degli anni miei” di: Angiolino Cotardo |