8 Settembre 1943

Era un pomeriggio tranquillo, accarezzato dal tiepido sole di un’estate ormai al termine. Radio Tirana aprì il giornaliero bollettino con un insolito comunicato: era stato dichiarato l’armistizio. La notizia ci lasciò senza fiato. Dopo mesi e mesi di tensione, finalmente eravamo alla fine! Euforici e felici già pregustavamo il ritorno a casa. Nulla faceva intravedere l’immane tragedia che si sarebbe abbattuta su di noi. Nei giorni precedenti c’era stato molto movimento di Ufficiali Superiori che si dirigevano verso la costa e molti di loro si imbarcavano, più o meno ufficialmente, per l’Italia. Al momento, a noi non sembrò motivo di allarme. Poi al Distretto Militare cominciarono a riversarsi e accumularsi soldati di classi più anziane. Non indossavano più la camicia nera, ma erano come tutti noi in grigio-verde. Ben presto dovemmo accorgerci che non giungevano direttive e noi non eravamo altro che un grande gregge sbandato. Il maggiore Francescantoni era l’unico degli ufficiali rimasti nel reparto distrettuale di Tirana e comandava il plotone, della “scorta armata” di cui io facevo parte, che era costituita da carrette con viveri e munizioni. La scorta,secondo quanto era stato ordinato, doveva essere impegnata per la sicurezza nei movimenti militari lungo la strada che univa Tirana a El Basan. In questa strada era costante la presenza di partigiani albanesi che operavano isolatamente o a gruppi. Essi erano soliti assalire alle spalle, anche i militari isolati per rifornirsi di armi e munizioni. Dopo una settimana, un mattino, all’alba, ci fu ordinato di prepararci per partire. Alle sette eravamo tutti inquadrati in attesa di ordini. Giunse una vettura militare con tre ufficiali tedeschi seguita da una colonna di soldati provenienti dal presidio di Tirana. Pochi secondi dopo ci fu ordinato di accodarci e ci avviammo. Potei notare che uno degli ufficiali tedeschi, con la mano destra impugnava la pistola, mentre con l’altra reggeva il binocolo che di tanto in tanto usava per osservare la montagna specialmente la dove la vegetazione era più fitta. Durante il percorso avvertimmo colpi di arma da fuoco seguiti, a tratti, da scoppi di bombe a mano. Gli uni e gli altri però giungevano ovattati: provenivano, quindi, da discreta distanza e non costituivano, per noi, un pericolo. Giunti ad El Basan, l’ufficiale tedesco si complimentò con noi per il senso di disciplina dimostrato e aggiunse che non c’era più bisogno della nostra scorta. Infatti poco lontano attendeva quella tedesca. A questo punto tutto cambiò. Ci fu ordinato di toglierci le stellette e consegnare le armi, fummo incolonnati e, scortati da soldati tedeschi armati, fummo avviati a un centro di raccolta da dove, ammassati in carri bestiame, fummo avviati ai campi di concentramento. Eravamo già prigionieri di guerra!

Tratto da: “Stralci degli anni miei” di: Angiolino Cotardo

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