La Fiera di S. Leonardo a Castrignano dei Greci

(una rilettura di "Alla fiera" di Angiolino Cotardo)

a cura di Giovanni Campa

INTRODUZIONE

Spesso viviamo le tradizioni e le usanze dei nostri paesi senza chiederci qual è il loro significato e qual è stata la loro origine.
Oggi, feste, fiere e sagre scandiscono il tempo libero di grandi masse di popolo desiderose di partecipare attivamente agli avvenimenti gioiosi e spensierati che vengono proposti nel corso dell'anno.
La Fiera di San Leonardo è un appuntamento importante per il popolo castrignanese nella seconda domenica di novembre.
Da piccolo ho sempre atteso "la fera de santu Lenardu" con molto interesse e curiosità, per poter scorrazzare tra le numerose bancarelle di venditori ambulanti, molti dei quali di colore; per poter comprare i piccoli fuochi artificiali per scoppiettarli sul sagrato della chiesa del santo e assistere nel pomeriggio alla divertente cuccagna, che squadre di ragazzi cercano di scalare per raggiungere i premi posti all'apice della stessa.
Sono rimasto molto sorpreso, però, quando dai miei nonni ho saputo che, un tempo, la fiera assumeva un volto sostanzialmente diverso da quello che io conosco.
Non c'era l'asfalto, non c'erano le macchine, ma la fiera si caratterizzava per la mostra e la vendita di animali; l'aria si impregnava degli odori più contrastanti di cibi crudi e cotti e il vento trasportava le grida colorate dei venditori di tessuti e soprattutto di calzature, di buona fattura, lavorate dalle mani dei bravi calzolai di cui Castrignano dei Greci è sempre andato fiero.
Il tutto si svolgeva nei dintorni della cappelletta del santo composta di due ambienti. Il primo con funzione di ingresso; il secondo con due piccole finestrelle laterali comprendeva il presbiterio e l'altare sul quale era posta una tela con l'immagine di S. Leonardo.
La statica della cappella, causa infiltrazioni d'acqua, non rimase solida e di conseguenza le autorità ritennero opportuno demolirla e programmare una costruzione nuova che si portò a compimento negli anni novanta. L'unica testimonianza della chiesetta è l'architrave, custodita nel nuovo tempio, e sulla quale è scritto a lettere maiuscole:

QUOD CECIDIT PAUCI MELIUS STRUXERE SACELLUM, NUNC ALIBI MORITUR, HIC MICAT ALMA FIDES. A.D. MDCCCLXII

Siccome andò in rovina, pochi costruirono una migliore cappella, ora la benefica fede altrove muore, qui risplende. A.D. 1862.
La curiosità di poter documentare una tradizione importante del mio paese mi ha sempre spronato a cercare... e chi cerca, come si dice, trova...
L'incarico assegnatomi dall'Unione dei Comuni della Grecìa Salentina, previsto dalla Legge 488/99, è stato la molla per raggiungere tale obiettivo.
Infatti, rovistando tra le carte e cercando nelle librerie, mi è capitato tra le mani un libricino ingiallito del prof. Cotardo dal titolo "Scifala" (Fuscelli).
Nel libretto, in un capitolo dal titolo "Alla Fiera", descrive le caratteristiche della fiera di S. Leonardo negli anni della sua fanciullezza.
Grande è stata la contentezza, e la lettura è stata vorace, svelta e ripetuta.
Credo di far cosa gradita a tutti i castrignanesi nel riproporre il racconto del prof. Angiolino Cotardo, amante testardo della sua identità locale e cultore entusiasta e infaticabile della lingua e delle tradizioni del suo paese.
Un grazie all'Amministrazione Comunale di Castrignano dei Greci e alla sensibilità del Sindaco che, pubblicando questa mia semplice ricerca, ha voluto rendere partecipi soprattutto i giovani come me, a godere situazioni e atmosfere antiche per poterci immedesimare nei sentimenti, nei valori, nelle situazioni dei nostri padri.
Tutto questo per non dimenticare le nostre radici.

 

 

Giovanni Campa

 

ALLA FIERA*

Giorno di fiera, dedicata al santo della cappella campestre, San Leonardo.
E' alba. Si odono i primi rumori delle ruote dei traini, sopra la via nuova, che vanno verso la fiera. All'improvviso un canto dal timbro lamentoso:

Ci te lu disse cu cchianti lu tabaccuuu...

Poi quel rumore si perde. Il canto muore e si spegne con malinconia, con tristezza angosciosa nelle ultime note, in una serie lunga di u... sopra l'ultimo lieve sonno mattutino della gente.
Sono i mercanti sul traino, allo scoperto, avvolti in uno scialle o nei cappotti, tremanti di freddo, che portano le loro mercanzie alla fiera.
Ancora un altro rotolare metallico di ruote, sopra la via nuova, che urta le selci. Ora i canti divengono più frequenti, si susseguono a tempo, melodiosi. Mi fanno perdere il sonno. Mi alzo dal letto e a piedi nudi mi affaccio alla porta che dà sulla strada: una processione di traini. Le lanterne accesse, ad occhio di bue, che ne pendono sotto, sono come il luccichio delle ultime stelle.
Qualche striatura violetta lustra l'orizzonte. Si spandono delle larghe chiazze biancastre nel cielo. Rabbrividisco per le ventate umide e fredde di novembre.


I canti continuano:
E Marianna sciamu a campagna
.......................................................
Ohimmena ce ssu beddi l'occhi toi
..........................................................
Patruna ci t'ha rubbatu la gallinellaaa
.............................................
...................

Il modulare lungo di quella serie di a... è qualche cosa di misterioso, anche se debole per il riposo perduto.
Intanto diventa giorno. La campana della chiesa rintocca. Il fragore delle "Carcasse" (fuochi d'artificio) annunzia la fiera del paese. Comincia a girare la minuscola banda preceduta e seguita da frotte di monelli. Ecco il rullare del tamburo, il rumore della grancassa e dei piatti di ottone, il suono del trombone sfiatato, del flauto scordato, lo squillo stridulo della cornetta. I suonatori strimpellano ugualmente qualche suonatina, qualche marcia del motivo allegro e vivace.
Arrivano i contadini e i massai dei paesi vicini alla fiera e s'indrizzano tutti insieme verso la cappella situata fra due grandi pini, per ascoltare la messa all'aperto. Poi una visita al compare qua, un saluto al parente là e tutto ciò seguito da frequenti bicchierini di anice o di altro rosolio.
Sull'ampio spianato della fiera, circondato da piante sempreverdi, è uno spettacolo nuovo. In pittoresche baracche sono esposte le stoffe. Sotto i traini con le stanghe inalberate sono attendati i venditori di cibarie. Il macellaio è intento al fuoco, che spande nell'aria i fumi grassi della carne arrostita, dei fegatini e dei pezzi di maiale lesso. Più innanzi il pizzicagnolo che affetta salame, cha fa
assaggiare ai passanti pezzettini di formaggio sardo. Al tronco di un vetusto eucaliptus, tra il profumo del timo e della mortella, l'oste ha improvvisato con tendoni una linda trattoria ed espone su tavole rozze: pesce fritto, uova sode, pezzetti di cavallo in umido, tarallucci pepati, pagnottelle e l'immancabile vino. Poco lontano gli erbivendoli di Castrì e di Sanarica espongono i ravanelli, le cicorie, la verdura tutta degli orti. In giro stanno piantati i sacchi dei nocellari, gli immancabili calimerisi, che assordano i passanti con i loro urli e le loro cantilene.
In un prato adiacente c'è la fiera del bestiame: cavalli, muli, asini, buoi, mandrie di pecore, che tra il frastuono e il tramestio dei gruppi e gruppetti di zingari, aggiungono di tanto in tanto i loro muggiti, i loro ragli. E' proprio qui che appare allo sguardo una vecchietta mia conoscente: Arcona, smilza, segalina, settantenne, vive sola. Ai suoi tempi faceva la massaia. Il giorno prima mi aveva detto che alla fiera avrebbe venduto la sua capretta.
"Nessuno vuole più il latte di capra. Preferiscono quello imbottigliato dei bar. Anche i caprai. Sono diventati tutti signori ora! Ma poi Miorizza (così si chiama la capra) mi costa tanto! La mia pensione di vecchiaia non basta a pagare le multe per i danni che procura ai germogli delle piante: Mi dispiace della mia Miorizza! Però sai è intelligente e furba! Come capisce che i suoi aguzzini sono le guardie campestri!".
La fiera diviene sempre più animata. Una moltitudine di gente gremisce lo spianato, si sparpaglia, va in giro a gruppi, parlotta e gesticola. Rivedo Arcona poco dopo, tutta felice. Mi dice che ha venduto la sua capretta. Io le raccomando i soldi: è pericoloso averli addosso tra tanta confusione. Essa sbottona poco poco il corsetto e me li indica: sono avvolti in un fazzoletto bianco, che manda un alito odoroso di basilico. Sento lo scrupolo di lasciarla sola e l'accompagno. Compera erbe aromatiche per il desinare, le piantine di cavoli, di cicorie, di cipolle da piantare nel suo orto, l'occorrente per filare all'arcolaio e per tessere al telaio. "Ecco, ecco, anche lui alla fiera" e mi indica il prete. Cammina come si cammina alla fiera: di qua, di là, dappertutto, senza una meta fissa.
Davanti ad un albero di robinia è raccolta molta gente, che guarda una qualche cosa e ride:
"Forse un animale dotto - mi dice Arcona - che denuncia l'età e i vizi degli spettatori, o qualche burattino... o altra cosa".
Il mucchio di gente aumenta sempre. Il prete segue dietro la folla. Ci sono anche i notabili del paese: il sindaco, gli impiegati, il farmacista, il medico, l'ostetrica, l'ufficiale postale, il daziere, i rappresentanti dei partiti politici che si guardano con sfida e disgusto, tutti in semicerchio. All'avvicinarsi delle autorità del paese, che fingono di non prestare attenzione a quello che avviene intorno, quelli che sono ritti fanno ala, quelli che si trovano a sedere si alzano e salutano, scappellandosi.
Massara Arcona si avvicina presso l'albero di robinia e si ficca pure lei tra i curiosi. Perchè tanta curiosità?
Una ragazza sui diciotto anni, dalle belle sembianze, è sopra un tavolino a eseguire giuochi di prestigio. Accanto a lei è il suo principale, un uomo sulla cinquantina. Essa continua a dare spettacolo a tutti. Ha i piedi quasi nudi, veste una gonna attillata, una camicetta trasparente, sbracciata e in testa un cilindro schiacciato.
Il suo sguardo è pieno di malizia, la sua posa è superba. I polpacci delle sue gambe hanno delle lividurie. Cissà perchè. Ha i capelli biondi come l'oro delle pannocche di granoturco quando onduleggiano in certi meriggi d'estate nei campi. La sua pelle ha un certo che di voluttà, ricoperta come è di una lanuggine lieve come quella delle pesche mature. Esegue alcuni giochi di prestigio. Si torce in modo strano, spasmodico, delirante. Si schermisce definendosi dai gesti e dalle parole del suo principale, ma sempre in atteggiamenti voluttuosi e impudichi. La guardia comunale che si ritiene il custode dell'ordine e della legge, la chiama:
"Ehi tu! Vieni qua".
Essa si avvicina tutta impacciata e spaurita per la chiamata del vigile.
"Vieni non aver paura! Mi sembri molto timida! hai fatto qualche marachella, qualche diavoleria?"
"Che ne so di diavolerie, Signor Comandante!", dice con voce acuta e stridula.
"Allora dici la ventura? Attenta a quel che fai, altrimenti ti sbatto dentro!"
Intanto un giovanotto dà alcune monete all'indovina... che subito se le butta in seno, per conoscere il suo destino. Essa gli afferra la mano sinistra per esaminare i caratteri della palma, piegata verso di lui.
"Dunque?" domanda impaziente il giovanotto, mentre i circostanti sporgono le teste con curiosità.
"Bella e buona ventura" dice lei senza staccare lo sguardo dalla palma.
"Altro?"
"Riceverà presto una buona notizia".
Ed una voce:
"Diventerà ricco?"
"No... si fidanzerà".
Tutti scoppiano a ridere. Il giovane abbassa la mano.
"Non c'è più bisogno - dice l'indovina sorridendo malizziosamente - ciò che dovevo vedere, l'ho veduto".
"E che cosa hai veduto?" le domandano i curiosi.
"La sposa è bella come l'acqua fresca".
"Ha dote?" le chiedono.
"Un pò di proprietà e un pò in contanti".
"E quando si faranno le nozze?"
"Non si faranno mai".
"Cosa dici?"
"Si romperà il fidanzamento".
Tutti a ridere compiaciuti, anche la guardia ride, reggendosi la pancia.
"L'hai voluta? Oh tienitela!"
La ragazza intanto accende una sigaretta e fuma, getta l'occhio su qualcuno degli astanti, poi sale sul tavolino e continua a contorcersi in modo strano. Gabba qualcuno. Poi si mette a cantare una canzone oscena e balla, facendo gesti e movimenti vietati. Lo sguardo dei presenti è teso verso un lembo di coscia che traspare dalla gonna. Bisbigliano paroline misteriose. Poi la gente ride. La vecchia Arcona, che si trova ormai in prima fila, spinta coi gomiti dei fanciulli irrequieti ed impazienti, terrorizzata, si stropiccia gli occhi: è scandalizzata dal ritornello che la ragazza le indirizza. Cerca un posto per sfuggire agli sguardi rivoluti su di lei.
Finalmente riesce ad uscire fuori dal semicerchio.
"Chi lo sa che peccati!... Che Iddio guardi ogni fanciulla!..." borbotta.
La prestigiatrice stanca si è fermata. Scende a chiedere qualche monetina e saluta comicamente col suo enorme cilindro schiacciato sul capo e con la sigaretta in bocca, che manda un lieve fumo.
Arcona, anche se avara, mette mano al portamonete, offre il suo obolo e si allontana triste e pensierosa, borbottando:
"Chi lo sa che peccati!... Che Dio guardi ogni fanciulla...".
Per tutta la sera parla di lei come del demonio.
Certo ci vorrà per dimenticare.

* COTARDO A. "Scifala" (Fuscelli), Lecce 1973: Il testo è riportato integralmente.

Conclusione

Ricercare le proprie radici è un bisogno innato che ogniuno porta con sè dalla nascita ed è consapevole che il passato è una fonte continua per la società del presente.
Il nostro vivere quotidiano, ormai, è fatto di elementi che oscurano i particolarismi a favore di una tale omologazione e allo stesso tempo ci portano a dimenticare la nostra identità.
Questo piccolo contributo può essere un modo per far si che realtà, che hanno caratterizzato i comuni della Grecìa Salentina, per lingua e concezione della vita, non rischino di diventare un esiguo filo affidato alla memoria di pochi vecchi, rimasti sentimentalmente e testardamente legati alle loro usanze "diverse".



 

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